Insolitamente,
a volte capita che, nella patria del divertimento estivo per antonomasia, si
avverta per una sera il desiderio di fuggire dal delirio di decibel, colori e
cocktail dai nomi esotici e di andare a respirare un po’ di sana e refrigerante
aria notturna cittadina, invece del solito stordente mix di profumi e dopobarba
appartenenti ai mille volti della calca che occupa i marciapiedi del lungomare.
Decidemmo
così di dirigerci in centro, assecondando la sana tendenza controcorrente di
evadere per poter trovare finalmente parcheggio in breve tempo, senza penare
troppo, e per poter alfine goderci una passeggiata rilassante tra le vie
principali della città.
La vista
della facciata del Tempio Malatestiano fu sufficiente a non farci pentire del
nostro programma serale: una simile, imponente meraviglia resa ancor più
solenne da un affascinante gioco di luci ed ombre cittadine.
Signorile e
silente come l’intero centro, abbagliato a tratti da vetrine lussuose e animato
da una o due isolette sonanti di giovani
complessi jazz dal sound già maturo.
Dopo una
splendida serata trascorsa tra viuzze, vicoli e piazze, ci sembrò arrivato il
momento di raggiungere la nostra vettura per tornare in albergo. Avevamo
parcheggiato nella stradina laterale di un hotel internazionale e mentre ne
ammiravamo l’insegna ci colpì repentinamente una scena a pochi metri da noi: un
signore di mezza età era aggrappato alla grata della finestra del primo piano
dall’esterno e tirava verso di sé le sbarre della grata con quanta forza aveva
in corpo, quasi a volerle divellere dal muro.
Sulle prime
ci sembrò un vano e grottesco tentativo di un inquilino rimasto fuori casa ma
dopo pochi secondi l’uomo si spostò andandosi a fermare sotto un’altra finestra
dello stesso appartamento; fu allora che iniziò ad inveire contro la seconda
grata con movimenti perentori ma ripetitivi…
Ci
accorgemmo però del fatto che non aveva un interlocutore e che anzi, cambiava
la sua postazione sotto una finestra o l’altra ogni due minuti circa. Eppure la
seconda finestra era aperta e illuminata, chiunque vi fosse stato dietro, non
poteva non accorgersi o non aver udito.
Era una
situazione quantomeno strana, per non dire inquietante, sebbene in principio
avesse suscitato la nostra ilarità. Ad
ogni modo, lasciammo l’uomo al suo soliloquio e ce ne andammo.
Il pensiero
dell’uomo aggrappato alla grata svanì nell’arco di qualche minuto, man mano che
dal centro ci spostavamo verso il lungomare con la sua movida e i suoi colori
brillanti. Come tutte le quotidiane contingenze esterne, quell’immagine
grottesca si affievoliva fino a scomparire.
La stessa
tornò alla mente repentinamente e non senza un pizzico di rinnovata ilarità due
sere dopo quando accompagnammo una nostra amica a fare shopping notturno nella
libreria più fornita della città. Nel transitare per la via attigua all’hotel
internazionale, lo scorgemmo nuovamente: egli era ancora lì, sotto la grata
della prima finestra che cercava di divellere le sbarre con scatti alternati.
Di fronte
allo stupore della nostra amica, raccontammo di essere già stati testimoni
della strana scena qualche sera prima, tra il serio e il faceto, non rendendoci
conto in realtà se si trattasse di un episodio (anche involontariamente comico)
o di una situazione d’emergenza.
L’uomo
continuava a manifestare però comportamenti ossessivi e stereotipati, sempre
sotto le stesse due finestre: si spostava da una finestra all’altra
aggrappandosi alla grata e lanciando ordini incomprensibili a un fantomatico
interlocutore.
A questo
punto era indubbio che la situazione non rientrasse nei ranghi della
“normalità” sebbene tale parola sia foriera spesso di discriminazioni gratuite
e sciocche. Pensai per tutta la serata all’uomo, perfino mentre passavo in
rassegna lo scaffale con i libri di Camilleri tradotti in tedesco, abbinamento
quantomeno inconsueto…
Cosa poteva
aver scatenato quell’ossessività? E a chi si rivolgeva? Chi dunque si celava
dietro quella finestra? Possibile che nessuno si fosse degnato finora di
scostare imposte e vetri e sincerarsi delle motivazioni che lo spingevano ad
ululare a una grata?
Le mie
domande ovviamente non avrebbero ottenuto risposta ma confidavo nel potere
consolatorio di Camilleri e di un Montalbano con piglio teutonico…
La vacanza
era agli sgoccioli purtroppo e dovevo ammettere che, dopo un anno così
impegnativo, mi costava molto dire addio a quei tramonti in spiaggia, alle
passeggiate in riva al mare, ai lunghi bagni tonificanti e all’estremo calore
della riviera romagnola.
Per aiutarci
ad alleviare il nostro commiato da quegli splendidi luoghi pieni di vita, la
sera prima di partire una coppia di amici del posto ci invitò per un gelato
nella rinomata gelateria del centro. Avrei preferito rimanere sulla promenade
ma la compagnia degli amici è preferibile a qualsiasi ambientazione.
Ci vennero a
prendere con la loro auto e ci dirigemmo alla volta della parte interna della
città. Il caso volle che i nostri amici parcheggiarono nella stessa via che
costeggiava l’hotel internazionale, a noi ormai nota. E immancabilmente sul marciapiede,
sotto la finestra con la grata c’era lo strano uomo. Stesso abbigliamento dei
giorni precedenti, stessi occhiali dalla montatura leggera, stessi movimenti
stereotipati e solito balletto sotto le due finestre.
Mi ritrovai
senza accorgermene a fissarlo ancora una volta per un tempo indefinito mentre
la mia curiosità riguardo la sorte di quell’uomo tornava prepotentemente a
bussare alla mia coscienza.
Il nostro
amico Roberto mi parlò, come intuendo i mie i pensieri:
-
Non
spaventarti, è un signore innocuo –
Non ne
dubitavo ma mi sembrava una persona sofferente, a suo modo. Gli chiesi se
conoscesse la sua storia. Roberto ci
spiegò che quel signore di mezza età con gli occhiali e un gilet beige era un
geometra in pensione e per tutta la vita era stato una persona a modo e un gran
lavoratore. Abitava da pochi anni a due isolati da quel palazzo.
-
Come
mai allora è sempre davanti a queste finestre?
Chi abita qui? – chiesi.
-
Nessuno
di sua conoscenza – fu la risposta.
La mia
espressione interrogativa meritava una spiegazione più esaustiva. Roberto ci
raccontò che tre anni prima era rimasto vedovo a causa di un brutto male che si
era portato via la sua compagna di vita in soli sei mesi. Da allora non si era
rassegnato e, in una sorta di transfert, aveva iniziato a tornare nel luogo che
più gli ricordava sua moglie, il palazzo in cui avevano vissuto per vent’anni.
Tutte le sere si recava davanti al palazzo e iniziava quel malinconico e
grottesco balletto sotto le due finestre nella convinzione che la donna della sua
vita non volesse più aprirgli, lasciandolo fuori casa.
I nuovi
inquilini conoscevano la sua storia e quindi non si allarmavano quando lo
udivano arrivare, anzi, avevano iniziato ad usargli la cortesia, anche
d’estate, di non spalancare completamente le finestre ma lasciarle aperte a
metà, in modo tale che egli non potesse scorgere altre persone nella cucina, al
posto della sua amata.
Chi abitava
in zona ormai conosceva quella storia fatta di dolore e tenerezza e per loro le
visite serali del vedovo erano divenute una consuetudine.
E l’ex
geometra, ancora innamorato della donna che aveva scelto per la vita, non
essendo riuscito a rassegnarsi ad un lutto così grave e improvviso, aveva
preferito nel suo inconscio scambiare quella terribile assenza per un’eterna
scaramuccia tra coniugi piuttosto che per l’impossibilità, fino alla fine dei
suoi giorni, di risvegliarsi ancora con lei.
"L'ossesso" è contenuto nel libro Il grande viaggio! Le penne e le idee
http://www.ibs.it/code/9788891156549/dammilvia/grande-viaggio-penne.html
http://www.ibs.it/code/9788891156549/dammilvia/grande-viaggio-penne.html
________________________________________________________________
Pubblicato ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
_________________________________________________________________________________________________