mercoledì 2 gennaio 2013

Berlusconi e le sue contraddizioni in un saggio di Aldo Abenavoli



Paradossi e sfaceli politici
in un’Italia addormentata.
Le colpe mute dei cattolici
e la luce in fondo al tunnel 

di Alessandra Prospero
Le tante contraddizioni dell’ex premier
in un saggio salace, da Città del sole 


«Nel Titanic del belpaese che sta affondando l’orchestra continua a suonare forse sperando di allontanare il momento cruciale, quello del lento inabissarsi verso un fondo senza fine». Un finale tragico per un paese puntualmente incluso tra le potenze al vertice della terra, quantomeno dal punto di vista economico: si pensi, infatti, alla sua costante partecipazione al G8, sin dalla sua prima formazione negli anni Settanta, quando ancora si chiamava G6. Un paese che da sempre è meta agognata dei turisti di tutti il mondo, nonché fulgido esempio di una caparbia rinascita politica e sociale, verificatasi nel periodo del Secondo dopoguerra grazie all’instaurazione della Repubblica parlamentare. Eppure oggi pare colare a picco di giorno in giorno. Ma come siamo giunti a tutto ciò? Ciò che ci serve è un’analisi capillare a ritroso nel tempo, per capire per quale motivo l’Italia è prossima all’inabissamento.
Ce lo spiega Aldo Abenavoli in una minuziosa e sarcastica (a volte comicamente impietosa) analisi dell’ultimo ventennio politico italiano e dei suoi caratteristici rappresentanti, in particolare del più caratteristico: Silvio Berlusconi. Tutto ciò in un saggio appassionante: Un laico alla ricerca della verità (Città del sole, pp. 304, € 14,00).

Il Cavaliere, l’uomo dei paradossi
Si evince già dal titolo il tipo di percorso critico che l’autore intende intraprendere ed è inquietante come lo scenario che si apre davanti ai nostri occhi di lettori curiosi e coinvolti sia stato creato da un passaggio fondamentale: «l’elettore italico dopo la presa di coscienza degli anni ottanta è ora travolto da un panico da novanta e quindi conferisce al Cavaliere un’ampia delega finalizzata non al progresso e la prosperità ma alla lotta contro la coalizione di sinistra, quella sinistra di cui lo stesso Cavaliere è stato sostenitore avendo militato nel Partito Socialista che, a quei tempi, conserva ancora il simbolo della falce e il martello!». Ed è solo il primo dei paradossi a cui ci ha abituati il nostro ex Presidente del Consiglio: in primis il temibile conflitto fra gli interessi del Cavaliere, imprenditore in molti campi ma soprattutto nel settore dell’informazione, e gli interessi del paese. Qualsiasi altra nazione, infatti, si sarebbe scandalizzata di fronte a una simile e pericolosa anomalia, ma non noi. Poi le varie leggi ad personam e l’atavica avversione per la magistratura da parte di una delle più alte cariche dello stato: un atteggiamento quantomeno “curioso” per non dire dissonante o eversivo. Infine uno spudorato nepotismo (si ricordino le candidature di varie soubrettines e starlettes) e un sistema clientelare organizzatissimo operante a favore di un personaggio pubblico che nel 1994 era “sceso in campo” per propugnare invece la meritocrazia, essendo egli stesso un self-made man.

«L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro»
Il più amaro, tragicomico paradosso è che il primo articolo della Costituzione stabilisce appunto che la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro, e dunque nel contesto storico attuale dovremmo ritenerci elettori “anticostituzionali”, avendo eletto rappresentanti di governo che hanno fatto sì che di lavoro non ce ne fosse più o non ce ne fosse per tutti.
Mai come in questo periodo il tasso di disoccupazione è stato così alto, anzi è proprio drammaticamente impennato. «La Costituzione Italiana è di stampo sovietico – dichiara il Cavaliere –. Infatti l’atto fondamentale della repubblica sancisce non solo il diritto al lavoro ma anche quello ad una retribuzione in linea con il livello economico della nazione». Peccato che la realtà attuale sia molto diversa, soprattutto dopo le leggi Treu e Biagi, che hanno avuto sì il merito di «liberare il mondo del lavoro da lacci e laccioli e contestualmente di “stabilizzare” il lavoro precario» ma anche la colpa di aver «aumentato a dismisura la tipologia dei rapporti di lavoro parasubordinato […]. Oggi in teoria sarebbe più facile trovare lavoro di venti o trenta anni fa, solo che si tratta spesso di lavoricchi a termine o a tempo indeterminato con retribuzioni del tutto insufficienti».

Il “laico” Abenavoli
La laicità di Abenavoli parte da un’educazione religiosa che, attraverso una certa inquietudine circa le vicissitudini della Chiesa cattolica nel periodo postconciliare, si esplica soprattutto come metodo di ricerca. L’autore si chiede e ci chiede se sia accettabile che «tanti cattolici che frequentano i sacramenti, sono impegnati nelle parrocchie e testimoniano la loro fede nella famiglia e nei luoghi di lavoro, non si siano mai posti la domanda sulla compatibilità della fede cristiana con il paganesimo dionisiaco del “Casino delle libertà”» dimostrando per tutto il saggio una fine ironia e una sagacia che rendono in effetti sopportabili anche le pagine più amare. Amare come le conclusioni a cui Abenavoli ci conduce non senza comunque un residuo barlume di speranza: «quello che il popolo italiano ha commesso in questi ultimi anni è obiettivamente inconcepibile e imperdonabile: il Paese per ignoranza, per convenienza o per ignavia si è affidato al vitello d’oro come gli ebrei mentre Mosè stava per ricevere il Decalogo». Ma non tutto è perduto, sostiene fiducioso l’autore, poiché nell’ombra opera un esercito invisibile di credenti, magistrati, volontari, giornalisti, imprenditori e amici che lavorano con serietà e con fiducia per operare un effettivo cambiamento di questo paese.

Alessandra Prospero

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 65, gennaio 2013)

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