martedì 2 luglio 2013

IL "CASO ORLANDI": UN MISTERO SENZA FINE



Problemi e riflessioni (a cura di Angela Galloro) . Anno VII, n. 71, luglio 2013

Zoom immagineIl “caso Orlandi”,
un mistero infinito.
Vecchi personaggi
e nuove prospettive 

di Alessandra Prospero
Da Sovera edizioni, un’ardita analisi
al di sopra di ogni incerta congettura 



Un mistero infinito, una scomparsa tanto repentina quanto immotivata che avrebbe tenuto col fiato sospeso tutta Italia; una foto in bianco e nero che sarebbe entrata purtroppo nella storia della cronaca italiana dei primi anni Ottanta e che le bambine di allora avrebbero ricordato come triste esempio e monito: la foto ritraeva la giovane  Emanuela Orlandi, il cui omicidio è diventato il “caso” più oscuro e controverso della contemporaneità che abbia riguardato Città del Vaticano. Un nome che risuona come l’enorme eco di un biasimo generale, nazionale, e anche generazionale; un nome che, in un certo senso, reclama giustizia.
Una giovane vita recisa senza motivo. Sullo sfondo di questa triste e nota vicenda si stagliano le ombre del Vaticano, della banda della Magliana e del suo boss, Enrico De Pedis.
Tentativo di ricostruire le dinamiche di questa contorta vicenda è quindi lo scopo di Pino Nazio inIl segreto di Emanuela Orlandi. Papa Wojtyla, la tomba del boss e la banda della Magliana(Sovera edizioni, pp. 176, € 15,00).

Un mistero senza fine
Emanuela Orlandi, giovane cittadina vaticana, figlia di Ercole, messo pontificio, scompare il 22 giugno 1983 dal centro di Roma e da allora passano trenta lunghissimi anni di silenzi, depistaggi e ipotesi. Innumerevoli congetture che spaziano dal maniaco isolato all’intrigo internazionale (si parlerà addirittura di un temibile Fronte anticristiano, Turkesh), dai festini sessuali in cui (improbabilmente) sarebbe stata coinvolta Emanuela all’assurda teoria della giornalista Roberta Hidalgo, secondo cui la giovane vivrebbe in realtà a casa del fratello Pietro sotto le mentite spoglie della moglie di quest’ultimo. Addirittura si ipotizzerà un ricatto interno al Vaticano: questa versione farà scalpore, ma la verità, nel corso delle indagini, non sembrerà poi così lontana.

La tomba del boss
Nei sotterranei della basilica romana di Sant’Apollinare, in un «sarcofago, voluto uguale a quello di Giovanni XXIII, il Papa Buono», si scoprirà, non senza indignazione e stupore, che è stato sepolto il boss della banda della Magliana, Enrico De Pedis, detto “Renatino”. In effetti, in primis, sfugge il collegamento tra De Pedis e l’ambiente clericale romano, anzi, la notizia di tale sepoltura sembra un immorale paradosso dei nostri tempi. Cronache più recenti ci restituiscono invece la vicinanza del boss al rettore di Sant’Apollinare dell’epoca, don Pietro Vergari, il quale, prima di approdare alla celebre basilica, era stato cappellano del carcere romano di Regina Coeli, luogo in cui aveva appunto conosciuto Enrico De Pedis.
Lo stesso monsignor Vergari unirà in matrimonio, proprio nella basilica di Sant’Apollinare, il boss e la signora Carla Di Giovanni nel 1988 e, due anni più tardi, intercederà per la vedova De Pedis presso il cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti, al fine di autorizzare la sepoltura di “Renatino” nella basilica. Il resto è cronaca.

Una testimonianza fondamentale
La svolta alle indagini si ha finalmente con la comparsa di una figura affascinante e maledetta che con il boss ha condiviso affari e piacere: si tratta di Sabrina Minardi. Di lei si sa che è unaescort d’alto bordo con un’infanzia difficile alle spalle e che è l’ex moglie di un noto calciatore della Lazio e della Nazionale, Bruno Giordano. Ciò che non si sa è che è stata a lungo l’amante di De Pedis e che, avendo irretito, per mestiere, importanti personaggi, è riuscita ad introdurre il boss in «ambienti che sarebbero stati preclusi a un malavitoso come lui». Non solo. La Minardiaveva instaurato una complicità delinquenziale con De Pedis per cui seduceva uomini facoltosi (che il suo amante filmava) per poi ricattarli.
È in «questo intreccio perverso che Sabrina avrebbe avuto modo di entrare nella vicenda di Emanuela Orlandi», fornendo in dotazione al boss addirittura l’appartamento di famiglia a Torvajanica come nascondiglio, e infine facendo rivelazioni impietose sulla triste fine della ragazza.

Una firma importante per casi importanti
L’autore del libro, Pino Nazio, è sociologo, giornalista, scrittore. Scrive questo contributo con cognizione di causa, poiché dal 1992 è inviato del noto programma di Raitre Chi l’ha visto?, per il quale si è occupato di casi eclatanti come l’omicidio di via Poma, il disastro di Ustica, la “banda della Uno bianca”, l’assassinio di Maurizio Gucci e, più di recente, il rapimento di Emanuela Orlandi.
Il libro è dotato, infatti, della documentazione di un saggio, ma anche di una forma scorrevole e originale che permette di leggerlo come un romanzo, ricostruendo insieme all’autore le testimonianze, i luoghi e i collegamenti che formano l’analisi oggettiva di quanto è accaduto in questi trent’anni. Un’inchiesta seria, aderente alla realtà e contestualizzata in ogni dettaglio. Parole che rendono una parte di giustizia alla famiglia Orlandi, il cui destino è stato stravolto per sempre un mercoledì di giugno di trent’anni fa, e alla memoria di una ragazza che sorrideva alla vita e che tutta Italia avrà presente nel ricordo.






Alessandra Prospero

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 71, luglio 2013)

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